Racconto estratto dal libro di Leucio Palozzi “Storia di Villavallelonga” del 1982.
Il racconto ricostruisce il terremoto del 1915 dal punto di vista della cronaca nazionale, ponendo l'accento sul senso di collaborazione e solidarietà della popolazione di Villavallelonga.
Il libro è disponibile al prestito, alla consultazione e alla vendita presso la Biblioteca Comunale.
Il terremoto marsicano del 1915
Alle ore 7,55 di mercoledì 13
gennaio dell’anno 1915 alcune scosse
sismiche, durate circa 20 secondi, ferirono gravemente la terra marsicana.
Il territorio in pochi attimi fu devastato, le opere in gran parte distrutte,
la vita di molti abitanti cessò e, seppure con il freddo intenso, le strade
furono in breve affollatissime sbugiardando l’espressione rivolta al poltrone:
<<Manghe i tarramute te smòve>>.
L’epicentro si registrò nel bacino del Fucino e ciò fece riemergere le
polemiche sul prosciugamento del lago; ad Avezzano si ebbe la maggiore rovina,
mentre i Centri circonfucensi subirono più o meno danni, a causa della
differente costituzione litologica del sito topografico dove sorgevano gli
abitati.
I giornali dell’epoca hanno
pubblicato molte cronache con dovizia di particolari e di una di queste pagine
risulta una drammatica e significativa testimonianza. Alle ore 9 del 18 gennaio
l’inviato speciale del periodico La
Tribuna mosse da Avezzano lungo una via fiancheggiata da cadaveri e si
fermò nei pressi di un gruppo di persone fra le quali riconobbe l’onorevole
Sipari che stava ascoltando un giovane taciturno e malinconico. Il profugo raccontava la sua esperienza:
<<Io sono vivo per miracolo. Del mio paese non è rimasta in piedi una
casa. Il terrore e l’angoscia la non ha limiti>>. Dopo queste parole
l’onorevole chiese: <<Quale paese?>>. E il giovane rispose ancora:
<<Villavallelonga. Il paese
estremo di queste montagne marsicane, oltre Luco, oltre Trasacco, oltre
Collelongo. Io non so come sono vivo e come abbia potuto salvarmi con mia
madre. C’è cascata addosso la volta di tre piani>>.
La commozione fu tale che i
presenti decisero di andare a Villavallelonga e le automobili affondarono
<<in un viottolo sfasciato trabalzando nel fango>>. L’inviato
riferisce altre notizie del suo pellegrinaggio e poi descrive l’arrivo a
Villavallelonga: <<Proseguiamo per questo estremo paese della Marsica a
mille metri di altitudine. Lasciamo a destra il paese di Collelongo che
visiteremo al ritorno. L’automobile percorre una via che si svolge su per i
contrafforti dell’Appennino. Ecco la chiesuola di campagna di San Leucio,
protettore di Villavallelonga. Uno squarcio enorme è visibile a distanza:
dentro anche il Santo è caduto frantumandosi. All’entrata del paesello con 2 mila abitanti, vediamo il
Palazzo comunale gravemente lesionato e il garage di una Società
automobilistica, il cui tetto è crollato. Ci sono circa 70 morti e 200 feriti, alcuni dei più gravi sono stati portati a
Roma, altri sono in traballanti baracche costruite con tavole tolte alle
rovine. Tra i morti sono contadini e negozianti. Ho notato questi nomi: Coccia
Carmine, Angelo Serafini, Natale e Pasqua Tantalo, Antonio Serafini, Tantalo
Nicola. Più di venti cadaveri sono ancora tra i rottami. La popolazione ha dato
prova di rara disciplina. Essa ha subito provveduto da se a scavare le macerie.
Anche a Villavallelonga la strage delle
case è totale. All’interno è tutta una maceria e le provviste di grano e di
patate sono rimaste sepolte. Tutte le chiese sono crollate. Ho veduto la chiesa
parrocchiale: il tetto è sprofondato e le mura esterne si reggono per un
miracolo di equilibrio. In questo tempo cinque minuti prima che il terremoto
travolgesse questa plaga di Abruzzo era raccolta tutta la popolazione perché si
celebravano le funzioni per il matrimonio
di due ricchi paesani. Il corteo era uscito sulla piazzetta quando è avvenuto
il grande crollo. Cinque o sei vecchiette che si erano indugiate nella
chiesuola sono rimaste sotto i cumuli e non fu possibile il salvataggio se non
per due di esse. Una ventina di popolani si sono salvati per miracolo>>.
Dopo la descrizione della
situazione trovata, il cronista ritiene doveroso soffermarsi sull’abnegazione manifestata dai cittadini:
<<Questo paese merita di essere segnalato. L’iniziativa privata ha qui
avuto benefica ed esemplare affermazione e se in tutti gli altri luoghi colpiti
si fosse rivelata una tale virtù nelle popolazioni, l’opera dello Stato avrebbe
trovato terreno infinitamente più atto allo sviluppo della sua opera di
soccorso. Il Sindaco, Angelo Ferrari,
e il dott. Di Ponzio, sono due individui che è doveroso indicare quale esempio
a quanti altri si trovarono nelle loro condizioni. Essi hanno fermato le
reclute che dovevano partire, militarizzandole per gli scavi, hanno requisito
le poche derrate trovate in fondo alle rovine. Hanno improvvisato delle cucine
economiche, hanno distribuito con buoni del Sindaco razioni ai cittadini, ed
ora anche per consiglio dell’egregio ing. Petrilli e dell’on. Sipari tentano di
riattivare il mulino e le comunicazioni automobilistiche con Avezzano. Tutto
questo è avvenuto per virtù di popolo e disciplina di amministrati e
amministratori. Così fu possibile ai cittadini di Villavallelonga salvare oltre
un centinaio di persone, con un lavoro audacissimo e ordinato; e così fu loro
possibile organizzare i primi servizi urgenti di sussistenza e assistenza per
non far morire di freddo e di fame gli scampati. Debbo però subito avvertire
che questo confortante fenomeno di solidarietà
cittadina – tanto più confortante quanto più grave è la strage – non ho potuto
ammirare in altri luoghi>>.
Una pagina di cronaca che oggi è storia e testimonia la situazione dei
profughi di questo estremo e isolato Centro
della Marsica che dopo cinque giorni dal terremoto aveva fatto appello alle sue
sole forze, ma le condizioni si aggravarono ancora; infatti il 20 gennaio una
bufera di neve infuriò nella Marsica e il 22 fu pubblicato un appello di Collelongo dove si narrava
che a dieci giorni dal terremoto non avevano ricevuto alcun soccorso.
Le testimonianze dei cronisti,
però, debbono essere integrate con la lettura dei dati che a Villavallelonga sono attestati nei libri parrocchiali.
Le vittime registrate il giorno del terremoto (13 gennaio) furono 46, di cui 16
al di sotto dei 25 anni, 9 tra i 25 e 50 anni e 21 con oltre 50 anni. Nei due
mesi successivi la triste sorte fu seguita da altre 20 persone, di cui 17 tra i
64 e i 91 anni; nel restante periodo dell’anno si ebbero altri 30 decessi per
complessivi 96 morti; tuttavia seppure il 13 gennaio può essere annoverato come
il giorno più luttuoso, non altrettanto si può dire per l’anno 1915 che non fa
registrare l’infausto primato.
La popolazione fu colpita nella
vita e nelle opere, nei ricordi del passato e nei segni monumentali della sua
esistenza. La chiesa secolare, prima sede della parrocchia edificata sotto il
titolo originario di S. Nicola, fu rasa al suolo e la chiesa della Madonna
delle Grazie, preziosa testimonianza dell’influenza
benedettina, già intitolata a S. Bartolomeo, fu gravemente danneggiata al pari
della chiesa di S. Leucio. L’esercizio del culto fu assicurato celebrando le
funzioni liturgiche in una baracca di legno appositamente costruita in Largo
Crocicchia, nei cui pressi si trovavano anche le prime capanne di ricovero per
i terremotati. Dalla relazione degli ingegneri che il 31 gennaio visitarono il
paese, risulta che il 30% degli edifici fu dichiarato abitabile, mentre il 50% fu mediamente
leso e il restante 20% si trovo distrutto;
dal documento risulta ancora che le case senza bisogno di lavoro erano 150 e
che il mulino era riattivabile.
La gran parte delle case
distrutte si trovava arroccata intorno alla Chiesa parrocchiale e con queste
distruzioni e successive ricostruzioni molte caratteristiche della Rocca di Cerro medioevale sono state
cancellate, anche se negli ultimi tempi alcuni indizi sono stati ricondotti
alla luce e sul posto è possibile ricostruire alcuni profili ambientali e
testimonianze di vita.
Il comitato dei Lavori Pubblici
ha a suo tempo ritenuto che il fattore
edilizio fosse quello che aveva maggiormente influito nel cedimento o nella
resistenza di fronte alla scossa, anche se si doveva riconoscere una debita
parte della struttura geologica e della conformazione topografica del suolo sul
quale sorgevano le abitazioni. Per la ricostruzione delle case furono concessi alcuni
mutui che, soltanto in epoca successiva, vennero trasformati in contributi;
tuttavia le complesse procedure non permisero a molti di usufruirne, anche se a
tale scopo molti edifici furono inevitabilmente distrutti e non mancò
l’indignazione per lo sfruttamento della grande sventura nazionale.
Dalle primitive baracche di legno
gli abitanti furono sistemati in altre provvisorie costruzioni di laterizio che
hanno condotto in locazione; la successiva mancanza di interventi definitivi ha
indotto gli abitanti a richiederne l’acquisto in modo da provvedere alle
necessarie ristrutturazioni, facendo cessare la lunga emergenza.