domenica 13 aprile 2014

2070 battute: Storia di Villavallelonga (2)

Racconto estratto dal libro di Leucio Palozzi “Storia di Villavallelonga” del 1982.
Il racconto ricostruisce il terremoto del 1915 dal punto di vista della cronaca nazionale, ponendo l'accento sul senso di collaborazione e solidarietà della popolazione di Villavallelonga.

Il libro è disponibile al prestito, alla consultazione e alla vendita presso la Biblioteca Comunale.

Il terremoto marsicano del 1915

Alle ore 7,55 di mercoledì 13 gennaio dell’anno 1915 alcune scosse sismiche, durate circa 20 secondi, ferirono gravemente la terra marsicana. Il territorio in pochi attimi fu devastato, le opere in gran parte distrutte, la vita di molti abitanti cessò e, seppure con il freddo intenso, le strade furono in breve affollatissime sbugiardando l’espressione rivolta al poltrone: <<Manghe i tarramute te smòve>>. L’epicentro si registrò nel bacino del Fucino e ciò fece riemergere le polemiche sul prosciugamento del lago; ad Avezzano si ebbe la maggiore rovina, mentre i Centri circonfucensi subirono più o meno danni, a causa della differente costituzione litologica del sito topografico dove sorgevano gli abitati.

I giornali dell’epoca hanno pubblicato molte cronache con dovizia di particolari e di una di queste pagine risulta una drammatica e significativa testimonianza. Alle ore 9 del 18 gennaio l’inviato speciale del periodico La Tribuna mosse da Avezzano lungo una via fiancheggiata da cadaveri e si fermò nei pressi di un gruppo di persone fra le quali riconobbe l’onorevole Sipari che stava ascoltando un giovane taciturno e malinconico. Il profugo raccontava la sua esperienza: <<Io sono vivo per miracolo. Del mio paese non è rimasta in piedi una casa. Il terrore e l’angoscia la non ha limiti>>. Dopo queste parole l’onorevole chiese: <<Quale paese?>>. E il giovane rispose ancora: <<Villavallelonga. Il paese estremo di queste montagne marsicane, oltre Luco, oltre Trasacco, oltre Collelongo. Io non so come sono vivo e come abbia potuto salvarmi con mia madre. C’è cascata addosso la volta di tre piani>>.

La commozione fu tale che i presenti decisero di andare a Villavallelonga e le automobili affondarono <<in un viottolo sfasciato trabalzando nel fango>>. L’inviato riferisce altre notizie del suo pellegrinaggio e poi descrive l’arrivo a Villavallelonga: <<Proseguiamo per questo estremo paese della Marsica a mille metri di altitudine. Lasciamo a destra il paese di Collelongo che visiteremo al ritorno. L’automobile percorre una via che si svolge su per i contrafforti dell’Appennino. Ecco la chiesuola di campagna di San Leucio, protettore di Villavallelonga. Uno squarcio enorme è visibile a distanza: dentro anche il Santo è caduto frantumandosi. All’entrata del paesello con 2 mila abitanti, vediamo il Palazzo comunale gravemente lesionato e il garage di una Società automobilistica, il cui tetto è crollato. Ci sono circa 70 morti e 200 feriti, alcuni dei più gravi sono stati portati a Roma, altri sono in traballanti baracche costruite con tavole tolte alle rovine. Tra i morti sono contadini e negozianti. Ho notato questi nomi: Coccia Carmine, Angelo Serafini, Natale e Pasqua Tantalo, Antonio Serafini, Tantalo Nicola. Più di venti cadaveri sono ancora tra i rottami. La popolazione ha dato prova di rara disciplina. Essa ha subito provveduto da se a scavare le macerie. Anche a  Villavallelonga la strage delle case è totale. All’interno è tutta una maceria e le provviste di grano e di patate sono rimaste sepolte. Tutte le chiese sono crollate. Ho veduto la chiesa parrocchiale: il tetto è sprofondato e le mura esterne si reggono per un miracolo di equilibrio. In questo tempo cinque minuti prima che il terremoto travolgesse questa plaga di Abruzzo era raccolta tutta la popolazione perché si celebravano le funzioni per il matrimonio di due ricchi paesani. Il corteo era uscito sulla piazzetta quando è avvenuto il grande crollo. Cinque o sei vecchiette che si erano indugiate nella chiesuola sono rimaste sotto i cumuli e non fu possibile il salvataggio se non per due di esse. Una ventina di popolani si sono salvati per miracolo>>.

Dopo la descrizione della situazione trovata, il cronista ritiene doveroso soffermarsi sull’abnegazione manifestata dai cittadini: <<Questo paese merita di essere segnalato. L’iniziativa privata ha qui avuto benefica ed esemplare affermazione e se in tutti gli altri luoghi colpiti si fosse rivelata una tale virtù nelle popolazioni, l’opera dello Stato avrebbe trovato terreno infinitamente più atto allo sviluppo della sua opera di soccorso. Il Sindaco, Angelo Ferrari, e il dott. Di Ponzio, sono due individui che è doveroso indicare quale esempio a quanti altri si trovarono nelle loro condizioni. Essi hanno fermato le reclute che dovevano partire, militarizzandole per gli scavi, hanno requisito le poche derrate trovate in fondo alle rovine. Hanno improvvisato delle cucine economiche, hanno distribuito con buoni del Sindaco razioni ai cittadini, ed ora anche per consiglio dell’egregio ing. Petrilli e dell’on. Sipari tentano di riattivare il mulino e le comunicazioni automobilistiche con Avezzano. Tutto questo è avvenuto per virtù di popolo e disciplina di amministrati e amministratori. Così fu possibile ai cittadini di Villavallelonga salvare oltre un centinaio di persone, con un lavoro audacissimo e ordinato; e così fu loro possibile organizzare i primi servizi urgenti di sussistenza e assistenza per non far morire di freddo e di fame gli scampati. Debbo però subito avvertire che questo confortante fenomeno di solidarietà cittadina – tanto più confortante quanto più grave è la strage – non ho potuto ammirare in altri luoghi>>.

Una pagina di cronaca che oggi è storia e testimonia la situazione dei profughi di questo estremo e isolato  Centro della Marsica che dopo cinque giorni dal terremoto aveva fatto appello alle sue sole forze, ma le condizioni si aggravarono ancora; infatti il 20 gennaio una bufera di neve infuriò nella Marsica e il 22 fu pubblicato un appello di Collelongo dove si narrava che a dieci giorni dal terremoto non avevano ricevuto alcun soccorso.

Le testimonianze dei cronisti, però, debbono essere integrate con la lettura dei dati che a Villavallelonga sono attestati nei libri parrocchiali. Le vittime registrate il giorno del terremoto (13 gennaio) furono 46, di cui 16 al di sotto dei 25 anni, 9 tra i 25 e 50 anni e 21 con oltre 50 anni. Nei due mesi successivi la triste sorte fu seguita da altre 20 persone, di cui 17 tra i 64 e i 91 anni; nel restante periodo dell’anno si ebbero altri 30 decessi per complessivi 96 morti; tuttavia seppure il 13 gennaio può essere annoverato come il giorno più luttuoso, non altrettanto si può dire per l’anno 1915 che non fa registrare l’infausto primato.

La popolazione fu colpita nella vita e nelle opere, nei ricordi del passato e nei segni monumentali della sua esistenza. La chiesa secolare, prima sede della parrocchia edificata sotto il titolo originario di S. Nicola, fu rasa al suolo e la chiesa della Madonna delle Grazie, preziosa testimonianza dell’influenza benedettina, già intitolata a S. Bartolomeo, fu gravemente danneggiata al pari della chiesa di S. Leucio. L’esercizio del culto fu assicurato celebrando le funzioni liturgiche in una baracca di legno appositamente costruita in Largo Crocicchia, nei cui pressi si trovavano anche le prime capanne di ricovero per i terremotati. Dalla relazione degli ingegneri che il 31 gennaio visitarono il paese, risulta che il 30% degli edifici fu dichiarato abitabile, mentre il 50% fu mediamente leso e il restante 20% si trovo distrutto; dal documento risulta ancora che le case senza bisogno di lavoro erano 150 e che il mulino era riattivabile.

La gran parte delle case distrutte si trovava arroccata intorno alla Chiesa parrocchiale e con queste distruzioni e successive ricostruzioni molte caratteristiche della Rocca di Cerro medioevale sono state cancellate, anche se negli ultimi tempi alcuni indizi sono stati ricondotti alla luce e sul posto è possibile ricostruire alcuni profili ambientali e testimonianze di vita.

Il comitato dei Lavori Pubblici ha a suo tempo ritenuto che il fattore edilizio fosse quello che aveva maggiormente influito nel cedimento o nella resistenza di fronte alla scossa, anche se si doveva riconoscere una debita parte della struttura geologica e della conformazione topografica del suolo sul quale sorgevano le abitazioni. Per la ricostruzione delle case furono concessi alcuni mutui che, soltanto in epoca successiva, vennero trasformati in contributi; tuttavia le complesse procedure non permisero a molti di usufruirne, anche se a tale scopo molti edifici furono inevitabilmente distrutti e non mancò l’indignazione per lo sfruttamento della grande sventura nazionale.

Dalle primitive baracche di legno gli abitanti furono sistemati in altre provvisorie costruzioni di laterizio che hanno condotto in locazione; la successiva mancanza di interventi definitivi ha indotto gli abitanti a richiederne l’acquisto in modo da provvedere alle necessarie ristrutturazioni, facendo cessare la lunga emergenza.